Professione illustratore: la dimensione della solitudine

L’illustratore professionista svolge spesso il lavoro in maniera autonoma e sedentaria. Questa condizione può portare nel tempo ad uno stato di chiusura, di solitudine e ridurre le possibilità di apertura e ampliamento della propria esperienza personale.
Parlo con cognizione di causa: ho vissuto questa chiusura in prima persona finché non ho scelto di cambiare abitudini e acquisire un nuovo modo di pensare.

So che la mia esperienza è soggettiva, ma so anche che alla base c’è una dinamica comune a molti che credo sia utile individuare e comprendere.
Ho scelto di coinvolgere in questo post lo psicologo Andrea Botti del progetto web Psicoexplorer per capire meglio quali sono quegli aspetti che contribuiscono ad alimentare questa situazione.
Vedremo anche quali azioni intraprendere per modificare alcuni atteggiamenti ed uscire dalla nostra comfort zone per creare nuove abitudini.

Andrea Botti Psicoexplorer

Perché molti creativi tendono a chiudersi in sé stessi?

Spesso capita di associare alla solitudine uno stato emotivo negativo.
Ma non possiamo definire la solitudine come un fenomeno distruttivo e doloroso in termini assoluti.
Infatti tutto ciò che è creazione ha origine dalla distruzione.
Distruggere su un piano simbolico è una forma di trasformazione: rendo il mio dolore, il mio sentire faticoso qualcosa di bello e che possa aiutare chi ho davanti.

Ginsberg negli anni della beat generation parlava di “pulsione di lacrima sincera”, Alda Merini diceva che “le lacrime dell’anima sono i versi del poeta”.
Distruggere è trasformare il proprio inferno in un’opera d’arte.
E questa è creazione.

Pensa alle stelle nell’Universo: l’esplosione di una supernova genera più energia di una galassia.
Questa energia che passa dalla distruzione genera creazione.
Ogni creativo ha bisogno di un tempo e di uno spazio per trasformare la sua ferita, elaborarla e donarla all’altro.
Questo processo richiede silenzio e introspezione.

Ecco la dimensione della solitudine creativa.

La dimensione della solitudine creativa
La dimensione della solitudine creativa

È importante coltivarla, ma (sì c’è sempre un ma!) come diceva il buon vecchio Aristotele l’essere umano è un animale sociale.
Questo non significa accontentarsi di chiunque, ma anzi scegliere quelle persone che condividono i nostri valori e il nostro modo di vedere il mondo.

Troppa solitudine genera chiusura e rende il processo creativo autoreferenziale e questo lo consuma fino a portarlo all’esaurimento.
Noi persone abbiamo bisogno di contaminazione, di esplorare anche ciò che c’è fuori dalla nostra base sicura. Il punto è che, per dare nutrimento al processo creativo, abbiamo bisogno di esperienza.

L’esperienza è sentire e ci permette di emozionarci e questo genera movimento.

Senza esperienza non possiamo incontrare il piano del dolore, del sentire e del desiderio.

La dimensione della solitudine creativa
La dimensione della solitudine creativa

Come fare quindi per uscire da questa situazione di solitudine?

Affrontando ciò che ti spaventa!

Molte volte crediamo di essere poco coraggiosi, come se il coraggio fosse un fenomeno a priori.
Ma il coraggio emerge dall’esperienza della paura.

Ancora una volta esperienza e azione sono i motori delle emozioni.
Coltiva un tempo e uno spazio per te per ascoltarti e creare ma bilancia un tempo per esplorare il tuo mondo: lavoro, viaggi, persone.
Accogli ciò che genera gioia ma accetta anche il dolore che potrà derivare da queste esperienze poiché sarà nutrimento per la tua arte.
Alterna periodi di esperienze a periodi per scavare dentro di te.
La solitudine è importante, ma troppa storpia anche il processo creativo.

Non isolarti! Il rischio sarà quello di consumare quella lacrima sincera che ti spinge a creare.
Non temere il dolore che la vita potrà darti perché il compito dell’artista è quello di essere un ermeneuta:

tradurre, distruggere e trasformare tutto questo.

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